Le zolfare siciliane | La dura vita dei carusi nelle miniere dimenticate
Scopri la storia delle zolfare siciliane e la tragica realtà dei carusi, giovani ragazzi costretti a lavorare in condizioni disumane nelle miniere di zolfo tra il XIX e il XX secolo.

Nel cuore della Sicilia, tra il XIX e il XX secolo, si estendeva un vasto bacino minerario dedicato all'estrazione dello zolfo, un minerale prezioso per l'industria chimica dell'epoca. Le zolfare, come venivano chiamate le miniere di zolfo, rappresentavano una delle principali fonti economiche dell'isola. Tuttavia, dietro questa ricchezza si celava una realtà fatta di sfruttamento e sofferenza, soprattutto per i carusi, giovani ragazzi costretti a lavorare in condizioni disumane.
Le zolfare: l'oro giallo della Sicilia
Le zolfare erano diffuse principalmente nelle province di Caltanissetta, Enna e Agrigento, formando quello che è noto come il bacino minerario della Valle dell'Imera. Queste miniere, spesso a conduzione familiare, erano caratterizzate da gallerie anguste e condizioni di lavoro estremamente pericolose. Lo zolfo estratto veniva utilizzato in vari settori industriali, rendendo la Sicilia uno dei principali fornitori mondiali di questo minerale.
I carusi: l'infanzia sacrificata
Il termine "carusi" deriva dal siciliano e significa "ragazzi". In questo contesto, indicava i giovani lavoratori, spesso di età compresa tra gli 8 e i 14 anni, impiegati nelle zolfare. Provenienti da famiglie indigenti, questi ragazzi venivano venduti dai genitori ai picconieri (i minatori adulti) attraverso un contratto noto come "soccorso morto", che prevedeva un pagamento anticipato alla famiglia in cambio del lavoro del figlio. Questa pratica li legava a una sorta di schiavitù, costringendoli a lavorare per anni per ripagare il debito contratto.
Condizioni di lavoro nelle zolfare
Le giornate lavorative dei carusi iniziavano all'alba e potevano durare fino a 12-14 ore. Il loro compito principale era trasportare sulla schiena sacchi di zolfo grezzo, del peso variabile tra i 20 e i 30 chilogrammi, lungo ripide e pericolose gallerie. Le condizioni ambientali erano estreme: temperature elevate, scarsa ventilazione e presenza di gas tossici rendevano il lavoro estenuante e pericoloso. Molti di loro lavoravano seminudi o completamente nudi a causa del caldo soffocante e dell'umidità.
Incidenti e malattie: un destino segnato
Gli incidenti mortali erano frequenti nelle zolfare. Uno degli episodi più tragici avvenne il 12 novembre 1881 nella solfara Gessolungo, dove un'esplosione causò la morte di 65 operai, tra cui 19 carusi. Le vittime furono sepolte in una fossa comune, oggi nota come il Cimitero dei Carusi, a testimonianza delle atrocità subite da questi giovani lavoratori. Oltre agli incidenti, le condizioni insalubri causavano malattie respiratorie e deformazioni fisiche, riducendo drasticamente l'aspettativa di vita.
Denunce e cambiamenti: verso l'abolizione del lavoro minorile
La drammatica situazione dei carusi attirò l'attenzione di intellettuali e politici. Nel 1876, i deputati Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino presentarono una relazione al Parlamento italiano denunciando le condizioni disumane nelle zolfare siciliane. Questa inchiesta portò a una maggiore consapevolezza pubblica e, successivamente, all'introduzione di leggi più severe sul lavoro minorile. Tuttavia, ci vollero decenni prima che queste pratiche fossero completamente abolite.
Eredità culturale: memoria e testimonianze
La storia dei carusi è stata immortalata in diverse opere letterarie e artistiche. Lo scrittore Giovanni Verga nel suo racconto "Rosso Malpelo" descrive la vita di un giovane minatore, mettendo in luce la brutalità e l'ingiustizia sociale dell'epoca. Anche il pittore Onofrio Tomaselli rappresentò la realtà delle zolfare nel suo dipinto "I Carusi" del 1905, esponendo la crudezza delle condizioni lavorative dei giovani minatori.