Un posto che fa invidia a tutti | La Conca D’Oro di Palermo e la sua avvincente storia che pochi sanno

Scopri i segreti reali della Conca d’Oro di Palermo: un paradiso agricolo, storico e culturale che ha reso celebri i palermitani nel mondo.

A cura di Paolo Privitera
24 luglio 2025 18:00
Un posto che fa invidia a tutti | La Conca D’Oro di Palermo e la sua avvincente storia che pochi sanno - Foto: Jerome Bon/Wikipedia
Foto: Jerome Bon/Wikipedia
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Una valle che ha fatto innamorare regine, scrittori e conquistatori

La Conca d’Oro è da secoli il simbolo di abbondanza, fertilità e bellezza della città di Palermo. Il suo nome poetico nasce dall’immagine dei campi coltivati ad agrumi, che – osservati dall’alto – brillavano come oro alla luce del sole. In epoca araba, la valle era nota come Al-Khalesa, e divenne un giardino agricolo e tecnologico all’avanguardia: grazie ai sistemi di irrigazione (qanat) introdotti dagli arabi, si coltivavano agrumi, datteri, carrube, mandorli e gelsomini. Le tecniche usate permisero alla zona di diventare uno dei più importanti centri agricoli del Mediterraneo, tanto che l’agrume amaro di Palermo fu esportato fino a Costantinopoli e Marsiglia già nel XIII secolo.

Un paradiso agricolo diventato paesaggio culturale unico

Nel XIX secolo, la Conca d’Oro copriva oltre 10.000 ettari di coltivazioni, ed era delimitata da Monte Pellegrino, i Monti di Monreale e il Mar Tirreno. Intere generazioni di palermitani hanno vissuto del lavoro nei campi, producendo limoni, arance e frutti esotici in quantità tali da alimentare l’intera Sicilia occidentale e l’esportazione europea. Gli agrumeti erano intervallati da ville nobiliari, torri di guardia, bagli e mulini ad acqua: ogni pezzo di terra aveva una funzione economica e sociale. Fino agli anni ‘50, questa valle rappresentava una fusione perfetta tra natura, cultura e architettura, tanto che Goethe, durante il suo viaggio in Sicilia, la definì “una delle più meravigliose vedute della terra”.

Declino, speculazione e resistenza agricola

A partire dagli anni ’60, la Conca d’Oro subì una drastica trasformazione: l’abusivismo edilizio, la speculazione immobiliare e l’industrializzazione ridussero drasticamente l’estensione agricola. Oggi, sopravvive appena il 20% delle superfici originarie coltivate, in piccoli appezzamenti tra Ciaculli, Falsomiele e Brancaccio. Tuttavia, proprio qui si è avviata una resistenza agricola silenziosa: decine di famiglie palermitane, cooperative e associazioni continuano a coltivare agrumi – in particolare il Biondo Tardivo di Ciaculli, presidio Slow Food – difendendo la memoria e l’economia di un’epoca d’oro.

La Conca d’Oro oggi: rigenerazione e turismo sostenibile

Oggi la Conca d’Oro sta lentamente riconquistando il proprio valore grazie a progetti di riforestazione urbana, orti comunitari e percorsi eco-turistici che coinvolgono le scuole e i residenti. A Ciaculli, la Fondazione San Giuseppe ha avviato un progetto di agricoltura sociale che unisce disabilità, ambiente e lavoro. Allo stesso tempo, sempre più visitatori scelgono itinerari alternativi fuori dal centro storico per scoprire la Palermo contadina, fatta di sentieri agrumati, bagli restaurati e degustazioni di prodotti locali a km zero.

Curiosità: una regina europea volle i profumi della Conca d’Oro nel proprio giardino a Versailles

Pochi sanno che, nel 1777, una lettera inviata da Maria Antonietta d’Austria, regina di Francia, cita Palermo in modo sorprendente. La missiva, custodita oggi negli archivi della Biblioteca Nazionale di Francia, riporta la richiesta alla corte borbonica di spedire fiori d’arancio, agrumi e piante aromatiche coltivate nella Conca d’Oro di Palermo, perché il suo giardino personale nel Petit Trianon “non era all’altezza dei profumi di Sicilia”. Secondo gli storici, le coltivazioni profumate di Palermo avevano una fama così vasta in Europa che perfino i giardinieri reali francesi richiesero “terriccio originario della valle palermitana” per tentare (invano) di replicare la crescita rigogliosa degli agrumi siciliani. Alcune barbatelle furono effettivamente spedite da Palermo a Versailles, ma non attecchirono a causa del clima diverso. Tuttavia, il gesto resta una prova straordinaria della reputazione internazionale della Conca d’Oro.

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