Un'ombra inquietante avvolge questo castello | La fortezza agrigentina che resistette alla storia

Viaggio dentro il castello Chiaramonte di Favara: mura sveve, intrighi medievali e la leggenda della stanza “senza ritorno”.

A cura di Paolo Privitera
18 luglio 2025 15:00
Un'ombra inquietante avvolge questo castello | La fortezza agrigentina che resistette alla storia - Foto:  Turturiza derivative work: Memorato (talk)/Wikipedia
Foto: Turturiza derivative work: Memorato (talk)/Wikipedia
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Dalla caccia imperiale alle luci del barocco

Pietra calcarenitica color miele, pianta quadrata, quattro torri merlate: così ti accoglie il castello Chiaramonte di Favara, nato nel 1239 come residenza di caccia di Federico II di Svevia, poi rifinito dal potente casato dei Chiaramonte. Attraversando il portale ogivale entri nel cortile interno, dove bifore in stile gotico-chiaramontano illuminavano saloni di rappresentanza, cucine, magazzini e una cappella privata ormai scomparsa. 

Le fonti d’epoca parlano di banchetti fastosi, falconieri e biblioteche ampie; oggi rivedi quelle atmosfere grazie ai restauri che tra il 1999 e il 2010 hanno ripulito gli intonaci, consolidato le volte a botte e riaperto il camminamento di ronda, trasformando la fortezza in polo culturale che ospita la Sagra dell’Agnello Pasquale e mostre d’arte contemporanea. (Wikipedia | Living Agrigento | Enjoy Sicilia)

Graffiti di prigionieri: la voce nascosta delle celle

Nel Settecento il maniero cambiò destino: venne trasformato in carcere borbonico e due sale al piano terra furono murate per diventare celle. Sulle pareti sopravvivono oltre 200 incisioni—date, croci, navi, invocazioni mariane, persino un gioco dell’oca—tracciate da condannati che cercavano conforto nella pietra. 

Questi graffiti originali sono oggi protetti da un vetro climatico e valgono la visita tanto quanto le bifore trecentesche. Singolare il ritrovamento del nome “Giuseppe Vadalà 1769” inciso accanto a un piccolo calendario: un documento che ha permesso agli storici di collegare il castello ai moti antiborbonici della zona. 

Dopo l’unità d’Italia, le celle furono dismesse; durante i lavori comunali del 1964 il soffitto ligneo dell’ultimo piano fu purtroppo demolito, ma un restauro filologico del 2000 ha recuperato capriate, feritoie e persino l’antica cisterna centrale. Oggi, durante le visite serali, le guide spengono le luci un istante: il silenzio restituisce le voci dei reclusi, e capisci perché i favarese chiamano ancora quelle stanze rutta dî carcirati

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