Il terremoto la spazzo via, ma è rinata più forte di prima, la città siciliana risorta 10 km più a sud
Dopo il terremoto del 1693, Noto rinasce in un barocco dorato: strade ampie, palazzi scenografici e piazze teatrali da UNESCO.

Il terremoto che ha spazzato via un mondo
Il 9 e 11 gennaio 1693, un sisma di magnitudo 7,3 Mw devastò completamente la Sicilia sud‑orientale, annientando oltre 50 centri urbani tra cui la vecchia Noto, con circa 60 000 vittime nelle aree colpite. Le immagini della città prima completamente rasa al suolo – “no stone remaining upon another one” – sono scolpite nella memoria degli storici. Ma da questa catastrofe sorse un miracolo urbanistico: la ricostruzione partì poche settimane dopo, guidata dal Duca di Camastra e progettisti come Gagliardi e Sinatra, trasformando Noto in un esempio magistrale di barocco tardo, con un tessuto urbano coerente, piazze scenografiche e palazzi in pietra dorata locale, che oggi fanno della città una “città-teatro” a cielo aperto.
Un barocco anti‑sismico e spettacolare
Il progetto puntò a creare vie ampie e lineari, piazze centrali e facciate monumentali, combinando bellezza e sicurezza: una risposta architettonica mai vista prima per un’emergenza sismica . Nasceva così il celebre “Barocco di Noto”, riconosciuto Patrimonio UNESCO nel 2002 come parte delle “Città tardo‑barocche del Val di Noto”. Le facciate con balconate scolpite, le chiese concave e convesso‑curvilinee, il marmo dorato – tutto contribuisce a un’unica scenografia urbana: un capolavoro collettivo realizzato in pochi decenni, tra il 1700 e 1750.
Curiosità
Non tutti sanno che la decisione di ricostruire Noto circa 10 km più a sud rispetto al sito originario derivò da ragioni antisismiche ma anche estetiche: il terreno più pianeggiante consentiva un impianto urbano a scacchiera, con ampie prospettive orientate al sole e alla luce del barocco. Oggi, le rovine di Noto Antica rimangono visibili e fungono da museo a cielo aperto, mentre la nuova Noto è ammirata per la sua “regalità senza avarizia”, come la definì Ugo Ojetti.