Un sito messinese che affascina e inquieta: lo trovi tra le nubi e le foreste
Scopri Dinnammare: culto, leggenda e panorami sullo Stretto. Cammini notturni, icona miracolosa e viste mozzafiato.

Se credi di conoscere Messina, aspettati di restare sbalordito: sul Monte Dinnammare, a oltre 1.120 metri, si erge un santuario che da secoli veglia la città, il suo Stretto e due mari: lo Ionio e il Tirreno. Un luogo dove fede, natura e storia si fondono in un’esperienza che ti toglie il fiato – letteralmente e spiritualmente
Il termine Dinnammare deriva dal latino bimaris (“due mari”) o dall’arabo Dinammar (“terra data ad Ammar”): due etimologie che già raccontano la vocazione mistica e strategica del luogo. Al posto di una semplice chiesetta medievale – presumibilmente bizantina – sorse, nel 1890, il Forte Umbertino, ora in parte inglobato da installazioni militari e da una terrazza panoramica mozzafiato.
Un mix di leggenda, fede e difesa militare
Il pellegrinaggio notturno è l’atto culminante del culto: ogni anno, tra il 3 e il 5 agosto, la sacra iconina della Madonna di Dinnammare, dipinta dal pittore messinese Michele Panebianco (1805–1873), viene trasportata da Larderia fino alla vetta, illuminata dalle lanterne e accompagnata da migliaia di fedeli. La chiesa, ricostruita più a valle dopo la demolizione del forte, accoglie la statua con celebrazioni che uniscono preghiera e paesaggio, accompagnate da viste incantevoli su Reggio, le Eolie e l’Etna.
Quest’ultimo, inutile dirlo, è proprio il tuo panorama: un anfiteatro naturale dove tu, in cammino, senti la pelle d’oca mentre osservi l’unione tra mare, montagna e storia.
Curiosità
Una delle leggende più suggestive racconta che l’icona miracolosa sia giunta dal mare trasportata da due “mostri marini” (o delfini) presso la spiaggia di Maregrosso, prima di essere traslata in vetta – o dove si trova tuttora. Inoltre, nel 1837, un fulmine colpì la tavoletta originale ritrovata da un pastorello; solo le teste della Madonna e del Bambino rimasero intatte e furono trasferite a Larderia, dove ancora oggi sono oggetto di venerazione