A Palermo c'è un luogo unico nel suo genere: svelati misteri incredibili

Il Museo della Radiologia di Palermo racconta come la città contribuì a svelare il mistero dei raggi invisibili che rivoluzionarono la scienza.

13 dicembre 2025 12:00
A Palermo c'è un luogo unico nel suo genere: svelati misteri incredibili - Foto: Luca Borghi/Wikidot-courtesy of the Museum’s direction
Foto: Luca Borghi/Wikidot-courtesy of the Museum’s direction
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La nascita di un luogo unico nel suo genere

All’interno dell’Università di Palermo, tra corridoi di ricerca e aule affollate, c’è un museo che non espone quadri o statue, ma qualcosa di molto più raro: il cammino dell’uomo verso ciò che non si vede. È il Museo della Radiologia, un piccolo scrigno dove la scienza incontra la storia.

L’idea nacque grazie al professor Pietro Cignolini, che per anni insegnò radiologia all’ateneo palermitano. Era un appassionato collezionista e un curioso instancabile. Durante la sua carriera raccolse strumenti, tubi catodici, lampade, vecchie lastre e pubblicazioni ormai introvabili. Voleva che nessuno dimenticasse come la radiologia fosse nata: tra tentativi, errori, intuizioni geniali e anche rischi, quando i medici si esponevano ai raggi senza protezioni perché ancora non ne conoscevano la pericolosità.

Il museo venne aperto ufficialmente nel 1995, ma la sua storia comincia molto prima, dentro le aule universitarie dove si sperimentava con materiali grezzi e macchinari costruiti a mano. Entrarci oggi è come sfogliare un grande album di famiglia, fatto di vetro, rame e luce.

Tra vecchi tubi e scintille di scienza

Chi visita il Museo della Radiologia non trova teche fredde, ma una sequenza di oggetti che raccontano un’epoca. Troverete i primi apparecchi a raggi X, tubi di Crookes e di Röntgen, generatori elettrici, valvole e lastre che mostrano le prime immagini del corpo umano.

Ogni oggetto parla di un passaggio importante: da quando i raggi X furono considerati una curiosità di laboratorio a quando diventarono un pilastro della medicina moderna. E c’è qualcosa di poetico nel vedere questi strumenti oggi, in un’epoca di tecnologie digitali: ricordano che la scienza non nasce mai tutta intera, ma cresce a poco a poco, con mani che sperimentano e occhi che imparano a guardare diversamente.

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