Il balcone più audace di Catania: un enigma di pietra, un nome taciuto e una storia che spiazza

Nel cuore di Catania, tra Via Etnea e Via Umberto I, una facciata eclettica-proto Liberty nasconde un nome nobiliare e una curiosità sorprendente.

12 dicembre 2025 12:00
Il balcone più audace di Catania: un enigma di pietra, un nome taciuto e una storia che spiazza - Foto: FernandoP/Wikipedia
Foto: FernandoP/Wikipedia
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L’edificio che cambia passo a Via Etnea

Nel centro di Catania, dove il flusso di Via Etnea frena un istante all’incrocio con Via Umberto I, si erge un palazzo che costringe lo sguardo a rallentare: Palazzo Pancari Ferreri. Non urla il suo nome, non ha bisogno di proclami: basta il gioco delle cornici, l’ordine dei balconi, la pelle in pietra che vibra fra Eclettismo e prime suggestioni Liberty per capire che qui è successo qualcosa.

Tra il 1881 e il 1900, quando la città consolidava la sua spinta verso nord, un architetto abituato alle grandi scene, Carlo Sada, ricevette l’incarico da un barone deciso a segnare la strada con un’architettura moderna ma colta. Nacque così una residenza urbana dove l’ornato non è solo decoro ma grammatica: soldati di pilastri e mensole sostengono balconi che paiono terrazze di proscenio, ferronnerie leggere disegnano curve anticipatrici, e la composizione del prospetto obbliga l’angolo a diventare teatro.
Guardarlo da vicino significa leggere piani sovrapposti di intenzioni: la matrice eclettica che cita linguaggi storici senza asservirsi a nessuno; il filo Liberty che compare negli svolazzi del ferro e nelle linee ammorbidite di soglie e cornici; la rigorosa misura urbana che allinea l’edificio alla cadenza della strada e insieme la spezza con un angolo autorevole. È un manifesto senza firma in facciata: parla di committenza aristocratica, di ambizione borghese, di Catania che vuole stupire restando sé stessa.

La posizioneVia Etnea 306, spigolo su Via Umberto I—non è casuale: qui il passeggio è platea e la città diventa pubblico. Il lessico architettonico impone una narrazione verticale: basamento saldo, piani nobili che cantano, coronamento che chiude con una cadenza sospesa. E quando il sole si muove, i rilievi delle modanature proiettano un’ombra mobile che ri-scrive la facciata ogni ora, come se l’edificio avesse un repertorio e lo eseguisse davanti ai passanti.

Un “teatro domestico” tra Eclettismo e proto Liberty

Se l’esterno è dichiarazione, l’interno—immaginato dalla stessa matita scenica—Palazzo Pancari Ferreri fu concepito come teatro domestico: enfilade ordinate, scale pensate per apparire oltre che servire, saloni che riflettono un’idea di rappresentanza urbana tipica della Catania di fine Ottocento. Qui l’Eclettismo non è collezione di stili, ma strumento: cita senza scimmiottare, ordina senza ingessare.

Il tocco proto Liberty corre nelle ringhiere, sfiora i capitelli, alleggerisce i pieni con vuoti disegnati, come se il palazzo avesse il desiderio di flettersi verso il Novecento senza rinnegare la solidità tardo-ottocentesca. Carlo Sada, che conosceva il linguaggio della scena meglio di molti colleghi, maneggia la luce come fosse un faretto teatrale: la posa dei balconi modula ombre “a sipario”, le cornici ritagliano inquadrature, la prospettiva dell’angolo irradia profondità nella strada.

Non è un capriccio isolato: è tassello della Catania colta che a cavallo dei secoli sperimenta senza sbandare, assorbe le tendenze nazionali e le reinterpreta in chiave locale. Qui la città lava—col suo nero lucido e la trama sismica che impone prudenza—diventa palcoscenico per un’architettura che non teme il dettaglio. Il barone committente cercava un indirizzo che fosse sigillo sociale; Sada gli consegnò una firma nella pietra che, a distanza di più di un secolo, continua a pretendere attenzione.

Ciò che sorprende, passando, è la coesistenza tra rigore e fantasia: basi serrate e sommità morbide, impianto urbano severo e decorazione “in punta di ferro”. È come se la facciata dicesse: guardami di taglio, solo così capirai come l’angolo diventa regia e Via Etnea si lascia dirigere senza perdere la battuta.

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