Il tempio che sopravvisse a tutto: a Scordia custodisce un mistero che il tempo non è riuscito a cancellare
Nel cuore di Scordia si erge una chiesa che ha visto terremoti e rinascite. La sua storia nasconde un dettaglio sorprendente.
Una rinascita dopo la rovina
Nel cuore di Scordia, in provincia di Catania, sorge la Chiesa di Santa Maria Maggiore, una costruzione che ha attraversato i secoli come una testimone silenziosa di catastrofi e rinascite.
La sua prima edificazione risale al XVII secolo, quando la comunità locale, raccolta attorno ai feudi della nobile famiglia Gravina-Cruyllas, volle dotarsi di un grande edificio sacro degno di una città in espansione.
Ma la storia della chiesa è segnata dal terremoto del 1693, la scossa che devastò l’intera Val di Noto. Quasi nulla sopravvisse a quella notte di gennaio: muri crollati, archi spezzati, colonne ridotte in polvere. Tuttavia, Santa Maria Maggiore non fu dimenticata.
Con tenacia e fede, gli abitanti di Scordia la ricostruirono sulle rovine dell’antico tempio, trasformandola in un simbolo della rinascita barocca che rifioriva in tutta la Sicilia orientale.
Oggi, osservandola dalla Piazza San Rocco, la sua facciata elegante e severa rivela la mano degli architetti del primo Settecento: equilibrio di proporzioni, decorazioni sobrie, ma una presenza che impone rispetto.
L’interno e le sue rivelazioni
All’interno, la chiesa sorprende per la sua ampiezza luminosa e per la ricchezza delle tele che ornano cappelle e altari laterali.
Fra le opere più note spiccano il Crocifisso ligneo del XVII secolo e le pale d’altare dedicate a Maria Santissima, testimoni di una devozione popolare che ha attraversato intere generazioni.
Il campanile, che svetta accanto al corpo principale, fu completato nel XIX secolo, a conclusione di una serie di restauri che diedero alla chiesa l’aspetto che conosciamo oggi.
Ma ciò che più colpisce chi entra non è solo la solennità dell’insieme: è la sensazione che le pietre raccontino, in silenzio, la lotta di un popolo contro il tempo e contro la distruzione. Ogni colonna, ogni volta, ogni capitello è un segno di resistenza.
Camminando lungo la navata centrale, si percepisce la stratificazione di secoli: i resti del primo edificio seicentesco convivono con i segni del barocco ricostruito, mentre l’aria sembra ancora vibrare della fede di chi la volle rinascere dalle macerie.